Torna dall’Ucraina ed espone le sue foto a Matera
Alfredo Bosco, 36 anni, fotoreporter con collaborazioni con giornali come “Il fatto quotidiano”, ha raccolto nella mostra “Broken promises” gli scatti di nove mesi nelle zone di guerra in Ucraina. Le foto sono ora sono in mostra presso “Arti visive gallery”, in via Beccherie a Matera.
Quando è partito, e perchè, per l’Ucraina?
In Ucraina ci ero già stato all’indomani dell’annessione della Crimea e dell’autoproclamazione delle c.d. Repubbliche del Donbass, nel 2014. Così, conoscendo le dinamiche di quel Paese, alla notizia dell’invasione dell’esercito russo sono partito il giorno stesso dell’inizio del conflitto.
In cosa consiste la sua conoscenza di quel territorio e delle dinamiche dell’attuale guerra?
Innanzitutto devo dire che collaboro con il mio collega Andrea Ceresini, anche lui già stato diverse volte in Ucraina. Già dall’ottobre del 2021 avevamo avuto sentore dei primi “movimenti” dell’esercito russo sul fronte est dell’Ucraina ed a Rostov, in Russia.
Che situazione ha trovato al suo arrivo?
Devo dire che la sensazione, poi documentata dalle foto, è stata quella di una guerra di bombardamenti e non di assalti o operazioni di terra come si suol dire “casa per casa”. La realtà che mi sono trovato di fronte, a Kharkiv come a Kherson, a Irpin’ come a Bakhmut, è stata quella di interi palazzi sventrati e di ponti fatti saltare in aria.
Perchè, secondo lei, il conflitto?
L’Ucraina è un Paese estremamente complesso: la popolazione è divisa già da un punto di vista linguistico, con alcuni che parlano ucraino ed altri che invece parlano il russo. Anche dal punto di vista religioso vi è una parte della popolazione che professa il cristianesimo ortodosso, altra invece è cattolica, di origine polacca.
Una foto particolarmente emblematica è quella dello sfollamento da Irpin’: ce la può raccontare?
Proprio all’inizio del conflitto gli stessi ucraini avevano fatto saltare il ponte di accesso alla città, per impedire ai russi di entrare in città. Ebbene in molti si sono dati alla fuga a piedi o con mezzi di fortuna attraversando il fiume che scorre lì sotto.
Un’altra invece è quella della gente rifugiata in uno scantinato.
Si tratta di uno scatto fatto a gennaio 2023, una delle ultime foto, a due mesi dall’assedio di Kherson.
Cosa l’ha guidata, in particolare, nella scelte delle foto da esporre?
Ho realizzato molti scatti, anche di morti per le strade. Ma ho accuratamente evitato di esporli per un principio etico, se vogliamo.
Oltre a foto in zone di guerra, in cos’altro consiste il suo lavoro?
Mi sto occupando di narcotraffico. C’è una nuova sostanza in commercio, un derivato dell’anfetamina, che si produce tra Iraq e Siria.