Il “borgo” di Grottole tra Sant’Antuono e san Rocco
La visita al santuario di sant’Antonio abate nei boschi tra il Bradano e il Basento e alla chiesetta dedicata a san Rocco su al paese lucano, in provincia di Matera, è un percorso, nel tempo e nello spazio, fatto di religiosità, natura e vita di paese.
La strada per il santuario è piuttosto una mulattiera e non è facile raggiungerla (nè tanto meno è conosciuta ai più), non però per i devoti che giungono anche da diverse parti d’Italia, soprattutto del sud (dove la devozione ed il culto del santo sono molto diffusi).
Tutta la zona è rigogliosa. Un agriturismo ad accogliere coloro che (motociclisti, gente del paese) si inerpicano su questa strada che diventa sentiero in corrispondenza di quella che doveva essere un’antica piscina con annessa una terrazza panoramica, e poi oltre, tra una vegetazione fatta soprattutto di querce (simbolo, tra l’altro, insieme alle grotte ed una torre, del paese di Grottole), fiori e piante selvatiche, una torre a testimoniare l’antico complesso fortificato medievale di Altojanni (oggi insediamento archeologico).

Il santuario, in cima alla collina (da cui si domina buona parte della valle del Bradano da un lato e boschi a perdita d’occhio tra Grottole, Grassano, Irsina e Tricarico), fu eretto nel quattordicesimo secolo (dopo quello dedicato allo stesso sant’Antonio abate in quel di Napoli, per volere della regina Giovanna ed in seguito al propagarsi della lebbra e del cd “morbo di Sant’Antonio” nel regno delle due Sicilie). Annesso al santuario quello che nei secoli passati era presidio ospedaliero e convento. L’istituzione del convento e del relativo culto del santo protettore degli animali nei boschi della Lucania aveva infatti anche lo scopo di curare gli ammalati.

Oggi l’Abbazia è stata completamente restaurata in tutti i suoi locali. Situata ad una decina di chilometri dal paese, è immersa nella natura dei boschi limitrofi. In passato il complesso architettonico era circondato da terreni donati da privati.
Ad accoglierci vicino la chiesa prospiciente la valle del Basento, dedicata a san Rocco, è invece la signora che è lei, nella casa affianco, ad avere le chiavi per entrare in quella che è una costruzione in pietra, come del resto lo è la “Diruta” (chiesa diroccata) più su verso il centro del paese, il cui culto nei confronti del santo “pellegrino” che le da il nome risale alla fine del ‘600, precisamente dopo la peste del 1650 (che falcidiò la popolazione italiana – il racconto che della peste fa Manzoni nei “Promessi sposi” ne è una testimonianza” – in un luogo, la Basilicata, pieno di pastori, allevatori, animali da allevamento e da pascolo, tutti che potevano – e molti lo erano – indistintamente essere colpiti dal morbo).
La chiesetta di san Rocco, su al paese, è stata completamente restaurata al suo interno, in anni però in cui venivano coperti anche gli affreschi (di cui rimane all’ingresso della navata centrale solo una piccola parte). Rimane però bene in vista e in fondo alla piccola navata centrale il polittico del XVII secolo, opera di Pietro Antonio Ferro, raffigurante le sette opere di misericordia corporale e, lateralmente, una scultura in legno raffigurante un’aquila che tiene lo stemma del paese (costituito da una quercia, una torre e le grotticelle – ovvero “cryptulae”, da cui il nome del paese).


La devozione ai due santi è molto diffusa in tutto il sud Italia proprio per via della “memoria” di “protezione” da malattie, come la peste o la lebbra, che nel periodo in cui i due santi vissero colpivano uomini e bestie e che erano piuttosto comuni (tanto da aver contratto, ad esempio, lo stesso san Rocco la lebbra).
Il santuario di sant’Antuono del resto era anche stato adibito a presidio “ospedaliero” del sud Italia, dopo quello della capitale del regno dei Borboni, Napoli. Mentre l’intitolazione della chiesetta a san Rocco, protettore della Lucania tutta e di tanti suoi paesi, risale proprio al periodo in cui la peste imperversava in tutt’Italia.
E poi c’è il castello che in epoca recente (fino al terremoto del 1980) era adibito a “condominio” (con tanto di numero civico ancora ben in vista) ed in cui ci abitavano una decina di famiglie. Anch’esso (con il prospicente piazzale) è stato interessato da lavori di rifacimento e restauro. Fu fatto costruire, per volere del duca longobardo Sichinulfo, nel IX secolo e reca ancora la leggenda di Abufina e Selepino, due giovani innamorati, la prima figlia proprio del duca.

Oggi Grottole è un borgo che sconta il fenomeno, comune a molti altri comuni dell’entroterra meridionale, dello spopolamento, ma dove non mancano gli esempi di un’emigrazione di ritorno. E’ il caso di Mario, gestore di un pub, che è tornato al paese dopo un’esperienza all’estero e grazie anche agli incentivi messi in campo dall’amministrazione comunale, ha aperto, insieme al fratello, un pub.
la visita è stata possibile grazie all’associazione Archeo-club di Matera, in collaborazione con la pro loco di Grottole e l’Amministrazione comunale.